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Title Diario di una schizophrenica
Originaltitle: Diario di una schizophrenica
Regie: Nelo Risi
Darsteller: Marija Tocinowski, Margarita Lozano, Ghislaine D'Orsay, Manlio Busoni
Erscheinungsjahr: 1968
Land: Italien
Stichwort: Schizophrenie, Psychotherapie
Release: 00.00.0000

Handlung
Ein Psychotherapeut aus Genf behandelt eine Patientin, die an einer schweren Form von Schizophrenie leidet. Daraus entsteht eine tiefe menschliche Beziehung.



Weitere Info
nach einer dokumentarischen Erzählung von Margurite Séchéaye (Neuauflage 2006)

Diario di una schizofrenica è uno di quei libri che toccano nel profondo facendo vibrare ogni corda delle emozioni che ne vengono a contatto. E’ una storia vera raccontata dalla stessa protagonista, Renèe, che ne ripercorre tutto il travaglio di una malattia, ancora incomprensibile (per alcuni aspetti) a tutti quelli che ne vengono a contatto che siano pazienti o medici.
Diario di una schizofrenica è un libro a due voci, che espone la malattia mentale e nello specifico la schizofrenia da due angolature differenti ma eguali; da un lato la descrizione della malattia da parte dell’ammalata stessa, Auto-osservazione, la paziente una volta guarita, rievoca in forma semplice e diretta la sua storia come una propria drammatica vicenda spirituale; dall’altro lato la voce narrante della Sechehaye, una psicanalista di Ginevra, che ha seguito il caso elaborando essa stessa una nuova tecnica terapeutica.
Ciò che sembrerebbe caratterizzare il mondo interiore della malattia mentale, della psicosi, e in modo specifico della schizofrenia, è appunto la sua incomprensibilità per l’uomo “normale“: l’alienazione, e cioè il fatto che l’ammalato diventa un essere che non sembra appartenere più alla comunità degli uomini, a questa nostra società che vive di apparenze. Anche Renèe è stata al di la dei confini dell’umanità come comunicazione o comprensibilità. Ma quando guarisce e giunge, come lei dice, a “sistemarsi definitivamente nella bella realtà”, essa riesce a rendere comunicabili anche le sue esperienze di malata.
Nella seconda parte, da titolo Interpretazione, la Sechehaye ci fa vedere come l’osservazione attenta sia importante: “…ho osservato dal di fuori il dramma di Renèe, come uno spettatore che assista a manifestazioni esteriori senza penetrarne la sua intimità”, e questo l’ha portata ad avvicinare, affettivamente, la paziente permettendo così la sua guarigione. Scrive la Sechehaye: Lo schizofrenico, anche quando si trova in uno stato di decadimento mentale e psichico, resta in possesso di un’anima, di un’intelligenza, e prova sentimenti talvolta molto vivi senza poterli esteriorizzare. Anche nei periodi di indifferenza completa e negli stati stuporali in cui il malato non sente più nulla, gli resta una lucidità impersonale che non solo gli permette di percepire quello che accade intorno a lui, ma anche di rendersi conto dei suoi stati affettivi. Spesso è questa stessa indifferenza che, spinta all’estremo, gli impedisce di parlare o di rispondere alle domande che gli si fanno. E’ allora che noi scopriamo in lui tutta una vita fatta di lotte, di sofferenze indicibili e di provare gioie; una vita sentimentale che le apparenze erano ben lontane dal far supporre e che è estremamente ricca di insegnamenti per lo psicologo. Infatti Freud scrive parlando dei malati mentali nelle Nuove lezioni: “Questi malati sono distolti dalla realtà esteriore ed è per questo che su quella interiore ne sanno più di noi e possono rivelarci cose che senza il loro aiuto sarebbero rimaste impenetrabili“.
La schizofrenia consiste in una dissociazione fra l’affettività che è profondamente perturbata dalla perdita del contatto con la vita, e l’intelligenza che resta inalterata e che, come un operatore cinematografico, registra tutto quello che gli si svolge innanzi. Naturalmente nella malattia vi sono periodi in cui lo stato stuporale è accentuato e in cui l’indifferenza è tale da non permettere di fissarsi in tracce mnemoniche.
Fino a qualche anno fa si pensava si pensava che le forme schizofreniche non fossero accessibili ad alcuna specie di psicoterapia. Freud stesso e l’indirizzo psicoanalitico, che pur avevano combattuto la loro battaglia contro l’orientamento costituzionalistico e organicistico della psichiatria, e che avevano sostenuto che anche alla base delle malattie mentali sono rintracciabili conflitti non molto diversi da quelli che si rincontrano nelle psiconevrosi, escludevano la possibilità di un trattamento analitico della schizofrenia.

Risulta assai difficile avvicinarsi a quelle forme patologiche di confine, si avverte una sorta di barriera che si eleva fra l’ammalato e l’analista, una chiusura, e un’assoluta incapacità per l’ammalato di comunicare effettivamente.
Negli ultimi decenni qualcosa si è modificato, come ci fa notare la Sechehaye, anche nella Nevrosi vi è un terreno organico, traducendosi in una particolare labilità dell’apparato psichico, che può più facilmente cedere di fronte alle situazioni conflittuali che la vita (specialmente in età infantile) ci riserva, oppure risolventesi in una particolare predisposizione a reagire in un determinato modo (patologico) anziché in un altro, a quelle situazioni conflittuali (determinando quella che Freud chiamava la scelta della malattia).
Il concetto di guarigione non è un concetto metafisico, ma un concetto pratico. In questo caso è stata proprio la paziente ad indicare in certo modo all’analista il procedimento della realizzazione simbolica, importantissima per la sua guarigione.


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